TEORIE SELEZIONISTICHE E SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO

Aldo Fasolo
Dipartimento di Biologia Animale dell’Uomo
Via Accademia Albertina 17, 10123 Torino
e-mail fasolo@dm.unito.it

 

Sommario. Lo studio dei meccanismi ontogenetici ed evolutivi, che sono alla base della complessità strutturale del sistema nervoso e della cognizione, ha posto di recente l’accento sull’importanza dell’epigenesi e della selezione. Pur fra molte difficoltà teoriche, si sta delineando una nuova sintesi fra biologia cellulare e dello sviluppo, teoria evolutiva, neuroscienze.

 

Il trionfo (apparente) del selezionismo

L’evoluzionismo darwiniano è al suo apogeo: dopo aver trionfato nelle scienze naturali, ora trova entusiasti sostenitori tanto nelle scienze economiche, quanto nella linguistica, nella medicina, nella psicologia, nell’ecologia. Il successo è tale da ingenerare sospetti. Ci si può infatti chiedere legittimamente cosa sia rimasto del nocciolo teorico della teoria darwiniana e se viceversa in molti casi si tratti di un impiego indebito, teso ad usare meramente la copertura e il carisma del darwinismo per commerciare idee genericamente "selezioniste", intrise di riminiscenze social-darwiniste, di concezioni innatistiche, di pseudonaturalismi.

In questo quadro, fortemente venato da mode intellettuali, ma connotato da imponenti avanzamenti delle conoscenze, si collocano prepotentemente le nuove prospettive della neurobiologia e delle teorie della mente. Esemplare al riguardo è il dibattito innescato dalle opere di Dennett (1995), ma forse ancor più illuminante è l’apertura di un articolo recente di Ira Black (1998): "Le neuroscienze, con i loro livelli multipli di analisi dai geni al comportamento alle funzioni mentali, hanno a lungo cercato un quadro concettuale che integrasse i meccanismi attraverso i livelli funzionali. Non è tuttavia sorprendente che sinora non sia stata formulata una teoria a largo raggio su mente e cervello. Ad una recente conferenza... l’elaborazione di un contesto evoluzionistico si è confrontato con molte vedute tradizionali delle funzioni cerebrali ed ha suggerito nuove strategie di ricerca... La cognizione e le funzioni cerebrali sono state inquadrate nel contesto dei vincoli evolutivi."

L’affermazione è certo forte, anche se poi la prospettiva evolutiva che consegue dalla lettura dell’articolo appare molto più modesta e talvolta quasi una copertura di facciata.

Una impostazione evolutiva delle funzioni del cervello e del comportamento è stata centrale al pensiero classico darwiniano. Il grande impulso dato alla neurologia in chiave comparata dalla scuola di Gegenbaur in Germania e poi nel Novecento da Herrick negli Stati Uniti ha creato un importante settore disciplinare, dove peraltro mano mano l’analisi si è fatta più descrittiva e topologica, perdendo il mordente evolutivo (Nieuwenhuys, 1998). I tentativi di collegare l’organizzazione anatomica con le funzione, in un quadro evolutivo hanno a loro volta avuto successo limitato. L’opera di MacLean sui "tre cervelli" (1973) riprendeva il concetto di aggiunta di parti all’encefalo nel corso dell’evoluzione, già presente nella teoria di Edinger cinquant’anni prima (v. Nieuwenhuys, 1998, p.277), ma il suo tentativo di trovare basi biologiche evolutive alla teoria freudiana hanno avuto più spazio nel pubblico vasto o in settori contigui (la psicologia) che nella neurobiologia dell’epoca.

Il punto di svolta è probabilmente costituito dalla pubblicazione nel 1983 de L’Homme Neuronal di Jean-Pierre Changeux, che affronta a tutto tondo i problemi di cervello e mente, usando gli strumenti della nuova biologia cellulare e molecolare. È una prospettiva che dà forte enfasi all’epigenesi, solidamente materialista, ma non rozzamente riduzionista. Si può tuttavia concordare pienamente con l’affermazione di Henry Plotkin (1994): "Tradizionalmente la letteratura tecnica nel campo delle neuroscienze si è fondata su teorie di tipo istruttivo. Tuttavia negli ultimi venti anni l’elegante ed efficace teorizzazione di personaggi quali Jean Pierre Changeux in Francia e di Gerald Edelman negli Stati Uniti ha dimostrato che modelli selezionistici dello sviluppo dell’encefalo e delle sue funzioni sono plausibili in termini di meccanismi noti ed interessanti per le implicazioni in psicologia".

Varie teorie recenti sottolineano infatti, volta a volta, la plasticità delle connessioni nervose durante lo sviluppo embrionale (Deacon, 1990; Ebbesson, 1980, 1984), l’importanza dell’aggiunta di moduli funzionali (Purves, 1994) nel corso dell’evoluzione, come nell’ontogenesi, il ruolo degli eventi regressivi (morte cellulare, retrazione di connessioni), nel definire i circuiti neurali (Finlay et al., 1987). I più ampi contributi teorici sono comunque derivati dalle opere di Changeux (Changeux, 1983; Changeux e Dehaene, 1989) e di Edelman, poichè, invece di descrivere i cambiamenti nel corso dell’evoluzione del sistema nervoso, hanno saputo proporne spiegazioni e meccanismi plausibili.

Il darwinismo neurale di Edelman

Come è stato osservato in un mio articolo (Fasolo, 1994), da cui traggo la discussione che segue, il Premio Nobel Gerald Edelman da molti anni sta perseguendo il programma ambizioso di spiegare attraverso meccanismi selettivi la genesi dell’encefalo e della mente, unificando campi diversi del sapere sotto la bandiera di un "materialismo esuberante". Ma cosa significa il titolo stesso di uno dei libri fondamentali di Edelman - Topobiology (1988)? Questo neologismo è stato da lui coniato per definire lo studio della regolazione dello sviluppo embrionale dipendente dalla posizione delle cellule. "Il problema fondamentale della topobiologia è stabilire in che modo, durante lo sviluppo, cellule di tipi diversi vengono sistemate nel tempo o nella sede opportuna per generare la configurazione tissutale specie-specifica e la forma dell’animale". Come ha fatto osservare il biologo dello sviluppo John Tyler Bonner, il libro sottolinea la nozione aristotelica di causa, sia pur nella revisione del grande genetista e teorico dell’evoluzione, Conrad Waddington. La sequenza che conduce dal prodotto genico alla forma finale è il risultato di una rete di eventi molecolari che si susseguono. La via è ben "canalizzata" ed una perturbazione anche piccola potrà portare a risultati e forme molto differenti, in termini sia di organizzazione che di fitness evolutiva. Per dirla con il paradosso del grande embriologo Hans Spemann, che è stato il pionere dell’embriologia sperimentale, "Noi stiamo in piedi e camminiamo con parti del corpo che avrebbero potuto essere usate per pensare se si fossero sviluppate in un’altra parte dell’embrione". Tutta la ricerca embriologica di questo secolo ha sottolineato l’importanza cruciale dell’informazione posizionale e dei suoi effetti plastici nel determinare i destini delle cellule ed il loro differenziamento. Edelman tuttavia fa il grande salto teorico-sperimentale, proponendo il meccanismo fondamentale che regolerebbe questi eventi. Proseguendo la via aperta dal suo Neural Darwinism del 1987, sostiene infatti che la complessità dell’organismo, del sistema nervoso, del comportamento intelligente, siano il prodotto di un vero e proprio processo di selezione darwiniana fra gruppi di cellule nel corso dello sviluppo embrionale. Il patrimonio ereditario è allora condizione necessaria, ma non sufficiente, per costruire l’organismo nel tempo e nello spazio. La chiave per trasformare le potenzialità dei geni in organismo reale sta nelle interazioni embrionali ("epigenetiche"), che sono in gran parte regolate dalle cosiddette "molecole di adesione", poste sulla superficie delle cellule. Le molecole di adesione fra le cellule (CAM) e con i substrati extracellulari (SAM), appartengono alla stessa famiglia molecolare delle immunoglobuline. Queste molecole, che hanno costituito uno dei campi di ricerca più fruttuosi dello stesso Edelman, si esprimono precocemente durante lo sviluppo e permettono i processi morfogenetici primari. Esse costituiscono così le regolatrici dell’architettura molecolare dell’organismo. In tale visione non solo si può spiegare lo sviluppo senza ricorrere al vitalismo, ma si può comprendere la molteplicità di organizzazione dei viventi prodotte nel corso dell’evoluzione.

L’ipotesi che la complessità dell’organismo sia il prodotto di processi selettivi su un immenso repertorio di variabilità spiega in modo eccellente l’intrinseca variabilità degli individui e nello stesso tempo la loro coerenza rispetto alla specie. In questa concezione il mondo viene categorizzato percettivamente per azione di due processi interattivi di selezione sulla variazione. Il primo ha luogo in gran parte durante lo sviluppo embrionale e postnatale. In esso neuroni vicini tendono ad essere fortemente interconnessi in collettivi di neuroni di dimensione e struttura variabili. Questa ipotesi introduce un concetto nuovo di tipo "popolazionistico" nei meccanismi di selezione cellulare durante lo sviluppo embrionale precoce. Il secondo processo consiste in modificazioni dell’ efficacia delle sinapsi durante l’attività dell’animale, di modo che vengono selezionate le risposte correlate di quei gruppi neuronali che producono comportamento "adattativo" (Edelman, 1993). L’interazione e l’adeguamento fra gruppi di neuroni si raffina ulteriormente attraverso la "segnalazione rientrante" (concetto che tende a sottolineare l’importanza delle relazioni con l’ambiente e la possibilità di generare congruenza fra mondo e sua rappresentazione nervosa per adattamenti successivi, plasmati dall’esperienza reale). La teoria è in drastica opposizione alle visioni di tipo "istruttivo" (quale ad esempio l’ipotesi della chemioaffinità di Sperry, che prevedeva che i contatti fra i neuroni fossero il prodotto di un riconoscimento di specificità chimica data a priori), mentre ha forti analogie con le teorie della selezione naturale e della selezione clonale sviluppate dall’immunologia, che non a caso è il settore disciplinare dove ha meritato il suo Premio Nobel nel 1972. Esistono certo pericoli di meccanicismo, ma nel complesso la proposta è forte sia sul piano teorico, sia sul piano delle verifiche sperimentali.

L’opera di Edelman è anche molto interessante per ragioni storico-sociologiche. Coloro che vogliono capire "la scienza in azione" e i meccanismi attraverso i quali gruppi di ricerca sono reclutati attorno a fatti e teorie, trarranno infatti molti motivi di riflessione. La teoria di Edelman compare in un momento giusto, quando il pensiero embriologico ha raggiunto notevole maturità e riesce a ricomporre efficacemente la componente descrittiva e quella sperimentale, l’approccio morfologico e quello molecolare. La dimensione genetico-molecolare in realtà era incapace di situare nel contesto cellulare specifico l’espressione dei geni significativi, mentre l’analisi morfofunzionale è solo da poco tempo capace di vedere le proprietà fini delle cellule in situ. Il darwinismo neurale recupera l’analogia forte con le teorie immunologiche, esattamente come altri hanno interpretato il differenziamento della cresta neurale, attraverso il modello della emopoiesi. Utilizza forti e buoni principi dell’embriologia: i gradienti e i campi morfogenetici, i meccanismi di migrazione, moltiplicazione e morte cellulare, la nozione che esistano vincoli strutturali, l’esigenza di avere una chiave di lettura dell’ontogenesi nella filogenesi - e viceversa! - (Raff e Raff, 1987), la diffusa concezione che le prime tappe dello sviluppo embrionale siano molto "tamponate" e che traiettorie diverse possano portare a prodotti simili, l’idea che le interazioni durante lo sviluppo non siano dovute a rapporti individuali, ma alle relazioni fra gruppi di cellule (tanto che qualcuno ha proposto di parlare di "relazioni sociocitologiche"). La teoria della selezione dei gruppi neuronali e l’ipotesi che i vari gruppi interagiscano con "segnalazione rientrante" per formare le mappe cerebrali di rappresentazione del mondo e dell’azione fanno giustizia della concezione neuropsicologica (anche questa tipicamente istruttivistica) che comporta una regressione infinita di "homunculi"- entità capaci di leggere le istruzioni per un’altra entità -, e così via, mentre la genesi della complessità viene materialmente legata alla selezione. In tal modo non solo si costruisce la struttura dell’encefalo e la si modella sull’esperienza, rendendola atta a rispondere in modo adeguato agli stimoli ambientali, ma si genera la memoria e la categorizzazione percettiva. La "autoelevazione" dei sensi che ne deriva permette, in una prospettiva biologica e materialistica, il passaggio dalla coscienza primaria a quella di ordine superiore, che affranca l’uomo dalla sua origine animale senza negarla.

Gli ultimi anni sono stati contrassegnati da un successo addirittura sbalorditivo di quella biologia che partendo dagli studi di genetica molecolare, ha definito la complessa rete di prodotti genici coinvolti nel controllo dello sviluppo ed ha identificato una stupefacente somiglianza strutturale fra geni dello sviluppo in taxa molto lontani fra loro (v. ad esempio, Puelles e Rubinstein, 1993; Boncinelli, 1994, a, b). Edelman ha ovviamente ben compreso allora che la sua teoria doveva in qualche modo legare molecole di adesione e geni dello sviluppo (ed in particolare quelli che regolano il pattern corporeo, quali i geni con homeobox). E con molta efficacia (pur fondandosi per ora su pochi dati controversi) ha proposto che l’espressione delle molecole di adesione, le CAM e le SAM, possano essere indotte da geni ad homeobox (Edelman e Jones, 1994). In questo modo il "progetto di massima" dell’organismo e del suo sistema di integrazione nervoso viene tracciato dall’espressione discontinua, spazialmente e temporalmente, di una serie di geni di sviluppo, che lascerebbe poi il campo alle interazioni cellulari, orientate e guidate dalle molecole di adesione per la sua realizzazione vera e propria. Sarebbe risolta in qualche modo la difficoltà della teoria descritta da Darwin sotto il titolo "Organi estremamente perfetti e complicati" nell’ Origine delle Specie. Lo sviluppo dell’occhio portato ad esempio in quel paragrafo, sarebbe infatti in taxa diversi sotto l’azione di un gene comune, Pax-6 (Zuker, 1994). I numerosi esempi di geni di sviluppo espressi in taxa diversi nel controllo di organi e strutture in qualche modo simili (asse corporeo, cuore, occhio) potrebbe fare pensare ad un qualche sistema antichissimo di "marcatura" posizionale (Scott, 1994). Ma naturalmente la rete di controlli genici e di interazioni cellulari garantirebbe poi la realizzazione delle differenze organizzative e funzionali proprie dei diversi organismi.

Le teorie di Edelman hanno innescato una enorme quantità di ricerche e molte sono le conferme sperimentali ottenute. Ad esempio, lo studio del sistema olfattivo dei vertebrati, ha dimostrato che la teoria del darwinismo neurale spiega molte osservazioni passate e presenti su quel sistema sensoriale così plastico (Fasolo e Biffo, 1995).

La teoria del darwinismo neurale rappresenta in ogni caso un esempio clamoroso di programma di ricerca unificante, che spazia dalla neurobiologia alla filosofia e il tentativo di Edelman di proporre e di realizzare un artefatto capace di coscienza (NOMAD) è esemplare del suo coraggio prometeico. Certo la battaglia rimane dura, poichè mentre Edelman predica il suo selezionismo durante lo sviluppo embrionale, alla base dell’autopoiesi dell’individuo, altri illustri biologi sono alla ricerca di un nuovo mistico Graal, il Progetto Genoma Umano, capace di spiegare in modo completo, a loro dire, i determinanti genetici delle caratteristiche individuali. Dal confronto, una sorta di darwinismo delle teorie (con il suo corollario d’obbligo, la lotta per le risorse finanziarie), con ogni verisimiglianza nasceranno nuove conoscenze e nuovi paradigmi (oltre che, speriamo, nuove possibilità di impiego per ricercatori). Lavorare, speculare, interrogarsi sulla Materia della Mente (come si intitola un saggio divulgativo di Edelman, 1992) rimane comunque una esperienza importante, percorsa dalla vertiginosa sensazione di scoprire campi nuovi.

 

Nuova neurobiologia e antichi paradigmi

L’importanza dei contributi di Edelman non sbarra tuttavia la strada a numerose critiche, ben definite nel polemico articolo di Francis Crick Neural Edelmanism (1989), che contesta in modo puntuale vari nodi teorici, a cominciare dal significato stesso di selezione neuronale di gruppo. Crick richiama fra l’altro un importante caveat dello stesso Edelman, che in Neural Darwinism scrive "vi sono enormi differenze nei particolari e nei meccanismi fra la selezione naturale, la selezione neuronale di gruppo, e la selezione clonale nei fenomeni immunitari." In molte parti dell’opera di Edelman, questa cautela e forse perduta. Certo è comunque che le opere più recenti danno per scontato che i problemi della biologia cellulare siano stati risolti e che tutto il discorso del darwinismo neurale debba concentrarsi sulle funzioni cognitive e sul linguaggio. Il concentrarsi sulle funzioni "superiori", assai più complesse e tardivamente espresse durante lo sviluppo può pagare molto in termini di generalità della teoria e può permettere di discutere delle basi dell’etica e dell’estetica, come accade di fare a Changeux con il filosofo Paul Ricoeur di Nature et regle (1998).

In ogni caso si rischia di non dare conto in modo completo dei dati sempre più integrati dei processi cellulari durante lo sviluppo embrionale. Un buon esempio di questa problematica sono i contributi di Gerhart e Kirschner (Gerhart e Kirschner, 1997; Kirschner e Gerhart,1998), a coronamento di numerosi lavori sperimentali e teorici sul rapporto fra sviluppo embrionale ed evoluzione. Questi apporti hanno l’ambizione di completare - anche loro! - l’opera di Darwin, cercando di spiegare come la variazione fenotipica e l’adattamento biologico, si originano dai processi biologici di sviluppo della cellula. Tali processi non sono quindi un vincolo dell’evoluzione, ma una sorta di motore combinatorio capace di potenziarne le possibilità. La ricerca di "un algoritmo che connetta il fenotipo al genotipo" trasforma l’aforisma di Theodosious Dobzhansky "Nulla nella biologia ha senso eccetto che alla luce dell"evoluzione", in "Nulla nell’evoluzione ha senso eccetto che alla luce della biologia cellulare".

Un altro punto che rimane aperto e controverso si riferisce ai dati della neurobiologia comparata, che si aggiungono copiosi, ma che in qualche misura non riescono a trovare una reale integrazione nelle teorie selezioniste. Il punto è solo apparentemente semplice: in che modo la selezione agisce fornendo una ereditabilità di un determinato carattere. Tutte le teorie dell’evoluzione dell’encefalo nei vertebrati devono tenere fra l’altro conto dei problemi quantitativi ed allometrici, che correlano evoluzione del corpo ed evoluzione quantitativa, ma anche qualitativa dell’encefalo. Questo significa legare l’evoluzione anche a processi di proliferazione differenziale (Deacon 1995) e a relazioni definite dell’ordine di neurogenesi, almeno nei mammiferi (Finlay e Darlington, 1995). Questi ultimi autori hanno dimostrato che le dimensioni delle componenti encefaliche sono ben descritte da una funzione non lineare in diretto rapporto con le dimensioni assolute dell’encefalo e concludono che il risultato più probabile derivante dalla selezione di una qualsivoglia capacità comportamentale sia un aumento coordinato dell’intero encefalo (componenti olfattive escluse).

Ed ancora, la mole imponente di studi sul ruolo della morte programmata durante lo sviluppo del sistema nervoso suggerisce che esistano fenomeni selettivi (rispetto ai bersagli sinaptici e/o alle sorgenti di fattori trofici), ma anche processi di regolazione interna di un aggregato cellulare e cellule a funzione transitoria, che poi scompaiono con il procedere dello sviluppo (Allendoerfer e Shatz, 1994; Fasolo,1995). L’interesse sulla selezione cellulare durante lo sviluppo embrionale precoce si riaccende, ma fose le risposte di Edelman al riguardo appaiono insufficenti, anche perchè il ruolo esclusivo delle CAMs e delle SAMs alla luce degli esperimenti di genetica molecolare viene ad essere ridimensionato significativamente all’interno di un processo estremamente complesso di segnali positivi e negativi che attraggono o respingono gli assoni in crescita (v. ad esempio la rassegna curata da Tessier-Lavigne e Zipursky, 1998).

Il bel saggio di Rudolph Nieuwenhuys (1998) ci ricorda il pluralismo di metodi e finalità che coesistono e si intrecciano nell’indagine comparativa sull’encefalo e sui problemi evolutivi.

In conclusione, riemergono, sia pur in forme nuove e più sofisticate le problematiche ed i paradigmi classici: quale sono le unità di selezione, come agisce la selezione, quali sono i rapporti ed i vincoli fra struttura delle cellule e dei sistemi e fenotipo dell’organismo, cosa significa realmente epigenesi, che rapporto c’è fra pattern corporeo ed organizzazione funzionale dell’encefalo...

Una soluzione provvisoria è quella di attribuire significato ai meccanismi selettivi, senza peraltro considerarli l’unica forza motrice dell’evoluzione neurobiologica.

In ogni caso, per molti studiosi la massima di Garstang (1922) "L’ontogenesi non ricapitola la filogenesi, ma la crea" assume nuovo significato e può ben coesistere con il nuovo concetto di evolvability (Kirschner e Gerhart,1998), la capacità cioè per un organismo di generare variazione fenotipica ereditabile.

 

Bibliografia

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