IL PARADIGMA DI GAIA E IL BIOCENTRISMO

Silvano Scannerini
Dipartimento di Biologia Vegetale
Viale Mattioli 25, 10125 Torino
e-mail scanner@bioveg.unito.it

 

Il paradigma della biosfera (insieme di tutti gli organismi viventi del pianeta e del substrato su cui insistono) come struttura complessa coordinata che si autoregola, o sistema complesso dinamico, è stato formalizzato in tempi relativamente recenti da Lovelock (1979) e ha manifestato ricadute concrete, a mio parere importanti, non solo in biologia ma anche nel campo della cultura umanistica.

Nella sua forma più compiuta il paradigma, noto sotto il nome di teoria di GAIA, dal nome della madre terra del mito greco, è discusso in tutte le sue implicazioni nel testo di Lovelock già citato, ma i contributi ispirati al modello di GAIA diventano via via più frequenti (per una visione d’insieme vedi ad es. Galleni, 1995).

È interessante notare che Lovelock, un chimico "prestato" alla geologia, ha sviluppato coerentemente nel paradigma di GAIA, a rigore un modello piuttosto che una teoria, un approccio alla biologia che si rifà per molti versi alla panbiogeografia di Leon Croizat (1962) e alla geobiologia di Teilhard de Chardin (1955). Quanto questo paradigma che porta l’impronta di un geologo (potenzialmente sospetto all’establishment biologico, come sono tutti gli estranei per tutti gli establishment) e ricicla due irregolari della cultura biologica ortodossa come Croizat e Teilhard de Chardin rappresenti una "rivoluzione scientifica" nel senso di Kuhn non può essere discusso qui.

Ad ogni modo GAIA ha avuto un notevole, anche se contrastato, successo e rappresenta la più approfondita formalizzazione strutturalistica della biologia. In queste condizioni è compatibile con la possibilità di un’evoluzione dell’evoluzione (cioé del cambiamento delle leggi in opposizione all’uniformismo) e quindi contribuisce al rinnovato interesse per la filosofia della scienza (Sarà, 1994). Inoltre, come vedremo, si riferiscono, consciamente o inconsciamente, alla visione della terra e della vita descritta in GAIA un certo numero di posizioni filosofiche, economiche e politiche (vedi AA.VV., 1995). Mi è sembrato quindi di un certo interesse proporre alcune riflessioni sul paradigma di GAIA, confrontarlo con il paradigma neo-darwiniano e prospettare le loro conseguenze al di là della biologia.

 

Il paradigma di GAIA come paradigma sincronico

 

Se ci limitiamo agli aspetti biologici la prima conseguenza del paradigma di GAIA è la centralità del riferimento ecologico sincronico a preferenza del classico riferimento diacronico delle teorie evoluzionistiche tradizionali.

Mentre GAIA formalizza la vita come una mega struttura dinamica che non solo si evolve, ma si autoregola secondo precise regolarità, il riferimento diacronico (lamarckismo, teoria sintetica neodarwiniana) formalizza la vita come storia del suo svolgersi sulla terra (vedi ad es. Luzzatto, Maggiora, Scalfari, 1995).

In altre parole accettando GAIA la biologia evoluzionistica diviene un aspetto, per meglio dire un modo di lettura, riduttivo (cambiamento delle strutture in funzione del tempo) di un sistema dotato di strette coerenze e regolarità interne che comportano interazioni stabili e ordinate nel tempo e nello spazio tra i sottosistemi.

Gioverà qui ricordare che per convenzione alle interazioni ordinate e stabili tra differenti sottosistemi biologici si dà il nome, in accordo alla definizione di deBary (1875), di simbiosi da intendersi in termini neutri e senza nessuna valutazione di vantaggio o svantaggio. Perciò accettare GAIA comporta l’accettazione della centralità dei fenomeni simbiontici nella biosfera.

Così lo schema di GAIA si manifesta come una modellizzazione globale dei viventi e si sta dimostrando di notevole rilevanza per un nuovo approccio olistico alla biologia (vedi Sarà, 1994) dato che un sistema complesso autoregolantesi presuppone, oltre l’esistenza di strutture ordinate, la possibilità di risposte non lineari. Insomma, per citare un ben noto aforisma, in un sistema complesso "il batter d’ali di una farfalla a Londra può scatenare un tifone in India".

In questo contesto l’approccio riduzionistico per ricostruire e valutare l’equilibrio dinamico sincronico della biosfera (ecologia) diviene sperimentalmente impossibile e concettualmente insufficiente.

Un modello più coerente si ottiene solo postulando il livello molecolare come componente che non esaurisca la complessità e l’ordine dei livelli superiori e accettando la possibilità che l’ordine dei sistemi biologici possa aumentare per salti a seguito della comparsa di proprietà emergenti. In altre parole il modello è plausibile qualora l’informazione genetica non esaurisca tutta l’informazione e la coinformazione dei sistemi biologici (cellule, organi, organismi, popolazioni).

Ovviamente questo è in contrasto con la trattazione classica che presuppone le strutture biologiche in corrispondenza biunivoca sia con i geni sia con la selezione operata dall’ambiente (neodarwinismo). Al contrario il modello di GAIA è perfettamente accettabile per quei paradigmi che presuppongano l’esistenza di sistemi costruttori di coinformazione, come nella teoria semantica (Barbieri, 1987), o di negentropia per acquisizione di proprietà emergenti come conseguenza di vincoli endogeni non genetici (Lima de Faria, 1988) o per interazioni tra sottosistemi (teorie simbiogenetiche del gruppo di Bellagio, vedi Margulis e Fester, 1992) o per l’esistenza di condizioni al contorno proprie delle strutture biologiche che controllano e differenziano l’espressione di genomi ampiamente comuni a specie differenti (Sibatani, 1998).

GAIA in altre parole non è altro che una delle esplicitazioni della teoria dei sistemi di Ludwig van Bertalanfy (1968) che presuppone variazioni discontinue di complessità ai vari livelli di organizzazione (proprietà emergenti) per cui, al fine di mantenere in equilibrio il sistema, le interazioni non solo debbono verificarsi nel "modo giusto", ma anche nel "tempo giusto" secondo un ordine preciso.

Esempi sperimentali della plausibilità del paradigma di GAIA sono ricavabili da molti dati su sistemi chiusi, quali sistemi in vitro, microcosmi e mesocosmi usati per il controllo dell’interazione tra differenti microorganismi in colture miste (vedi ad esempio Varese et al. 1997) e anche, ad esempio, dai dati recenti di ecologia microbica in campo che dimostrano la regolazione di popolazioni procariotiche del terreno ad opera di simbiosi tra piante e funghi (Barea et al. 1998).

Una dimostrazione particolarmente convincente della plausibilità di GAIA nell’ambiente naturale è data dai risultati sperimentali in microbiologia medica e dalle formalizzazioni teoriche dell’ ecologia microbica rivisti secondo il modello di Sonea (1993).

A questo modello, che considera il mondo procariotico come un sistema di libero scambio di geni, si è giunti solo recentemente.

Infatti il mondo batterico è stato per lunghi anni studiato da un punto di vista applicativo, soprattutto limitandosi alla microbiologia medica, mentre si è posta scarsissima attenzione all’ecologia microbica e allo stile di vita batterico nell’ambiente naturale.

A peggiorare la situazione la batteriologia ha sofferto di una lunga diatriba sistematica tra i fautori o dell’esistenza di singole specie batteriche rigorosamente distinte o della loro plasticità totale.

Che questo fosse giustificato dallo scontro tra fissismo batteriologico (esistenza di vere specie batteriche) e pleomorfismo (assenza di specie batteriche essendo i batteri un’ unica specie plastica) è un fatto. Che la vittoria del fissismo abbia avuto il merito di portare al massimo sviluppo la microbiologia medica e che il pleiomorfismo fosse un errore d’interpretazione è altrettanto vero.

È innegabile però che il successo del fissismo in batteriologia ha spostato l’attenzione esclusivamente sulle culture pure di singole specie microbiche in vitro e ha fatto trascurare la complessità delle popolazioni batteriche in natura.

Tuttavia, se si sposta l’attenzione alle popolazioni naturali miste di procarioti, è facile dimostrare come:

1 – differenti popolazioni mettano in comune capacità metaboliche complementari;

2 – ognuna delle cellule che le compone abbia una particolare capacità di trasferire e ricevere segmenti di informazione genomica sotto forma di piccoli repliconi autotrasferibili o non auto trasferibili;

3 – le popolazioni batteriche facciano parte di un sistema di scambio globale d’informazione basato sulla collaborazione tra le varie unità separate a vantaggio del megaorganismo.

Lo stile di vita batterico può essere coerentemente presentato come una simbiosi mutualistica senza speciazione, ossia come una forma di collaborazione globale, per lo meno nel periodo proterozoico in cui le popolazioni batteriche colonizzano tutte le nicchie ecologiche esistenti, e si mantiene ancora oggi anche se corretto dalla competizione.

In altre parole l’autore del modello (Sonea, 1993) considera i procarioti come la manifestazione più coerente del modello di GAIA in quanto espressione più alta dell’autoregolazione di un sistema complesso mediante mutualismo, e li contrappone agli eucarioti, "individualisti anarchici" ove prevale la competizione. Il che equivale a dire che GAIA si mantiene per un equilibrio tra prevalente competizione (selezione) degli eucarioti e prevalente mutualismo (collaborazione con vantaggio reciproco) dei procarioti.

È giusto domandarsi a questo punto in quali rapporti possa stare il paradigma di GAIA con i paradigmi biologici attuali (evoluzionistici o strutturalistici) e quali vincoli siano imposti dalle interazioni mutualistiche o di competizione all’equilibrio dell’insieme.

Per far questo dobbiamo stabilire una minima unità costitutiva dell’insieme GAIA dotata delle proprietà di "struttura vivente" e di "sistema in simbiosi" in modo da caratterizzare il minimo sottoinsieme dotato di tutte le proprietà della megastruttura e verificare la plausibilità di un sistema dinamico dipendente da integrazioni simbiontiche.

L’accettazione di questa ipotesi non è automatica: se questo infatti è il punto di vista di di Richmond & Smith (1979) che considerano la cellula eucariotica un habitat, bersaglio globale di selezione, altrettanto valida, e più diffusa, è l’alternativa di Maynard-Smith (vedi ad es. in Margulis e Fester, 1992) ossia il genoma come unità di selezione. Infatti la definizione oggi comunemente accettata di struttura vivente è quella di "sistema dotato di quei processi capaci di determinarne in qualsiasi guisa la duplicazione e il potere di provocare la mutazione. La prima di queste proprietà permette la formazione di ulteriori generazioni dell’essere vivente, mentre la mutazione consente la possibilità di evoluzione del vivente sotto la pressione della selezione naturale" (Cavallo, 1994).

Questa definizione è l’esplicitazione più semplice e coerente di un paradigma evoluzionista e panselezionista neo-darwiniano valido per tutta la biosfera dai virus all’uomo.

Le eventuali aporie tra GAIA e il neo-darwinismo dovrebbero risaltare immediatamente da un’analisi comparativa dei dati su cui si basa il modello darwiniano e le implicazioni e i dati del paradigma di GAIA che abbiamo discusso prima.

 

I paradigmi diacronici come paradigmi evoluzionistici

I paradigmi diacronici sono quelli più familiari ai biologi e più noti al grande pubblico sicché basterà ricordarli in termini schematici presentandone i punti salienti.

Dai dati della paleontologia risulta che le strutture dei viventi sono cambiate con il trascorrere del tempo. Le prime forme di vita datano di quattro miliardi di anni fa e da allora intere categorie (generi, classi, ordini) di specie tra loro imparentate sono scomparse per estinzioni in massa mentre altre strutture viventi sono comparse e le hanno sostituite.

L’esempio più ragguardevole è la grande estinzione del Proterozoico, quella che più di due miliardi di anni fa ha cancellato la maggior parte dei batteri più antichi, che vivevano in un’atmosfera priva di ossigeno, facendo posto ai batteri aerobi, ossia utilizzatori di ossigeno.

È così evidente che l’enorme variabilità degli esseri viventi non riguarda solo il loro insieme (o biosfera) attuale, ma anche la storia di una continua sostituzione di forme viventi più antiche con forme viventi diverse e più recenti.

Se ammettiamo (ci sono buone ragioni per crederlo qualora si confrontino i DNA di specie attuali comparse più o meno anticamente sulla faccia della terra) che specie antiche, anche estinte, possano essere gli antenati di specie attuali, chiave per comprendere i viventi è la ricostruzione della loro origine come "storia di famiglia" ossia riconoscimento dei loro antenati e ricostruzione del meccanismo che ha permesso il "cambiamento", ossia la costruzione di nuove strutture e la loro selezione.

Qui divergono il paradigma neo-darwiniano e quello che meglio si adatta al paradigma di GAIA, quello simbiontico o simbiogenetico che porta con sé un’impronta tutt’altro che trascurabile di lamarckismo proprio nei suoi aspetti classici (vedi Lamarck,1809).

1) Il paradigma neodarwiniano
Secondo l’interpretazione tradizionale l’evoluzione è legata all’acquisizione di novità per "piccoli cambiamenti del genoma". La chiave per la comprensione della multiformità biologica prospettata da Charles Darwin e dai suoi epigoni (Darwin, 1858) è il principio della selezione e della sopravvivenza del più adatto. Questa chiave interpretativa ha avuto un tale successo da diventare, tra gli anni quaranta e i nostri giorni, "la" chiave interpretativa ortodossa della biologia teorica.

In questo paradigma sono le leggi della probabilità che "fabbricano" le novità biologiche ossia le nuove strutture destinate ad affermarsi. Sulle innumeri possibilità di scelte a caso costruite dalle mutazioni in milioni di anni agisce il filtro che "sceglie" quelle adatte: "la selezione naturale" costruendo a piccoli passi le novità biologiche (Cavallo, 1994). A questo schema che corrisponde all’applicazione della teoria combinatoria all’evoluzione biologica sono state di recente mosse critiche epistemologiche fondate (Morchio, 1992).

È ovvio però che questo paradigma sia un potente e comodo strumento interpretativo:

1 – Utilizza principi che sono comuni a tutte le scienze naturali (primo tra tutto l’uniformismo, ovverosia il principio secondo cui i fenomeni odierni non differiscono da quelli delle passate ere geologiche).

2 – Introduce la teoria combinatoria come meccanismo generale che può spiegare sia la microevoluzione (l’affermarsi del "più adatto" all’interno di una popolazione della stessa specie) sia la macroevoluzione (l’affermarsi di nuovi piani di organizzazione che si concretano nella comparsa delle divisioni o phyla di organismi).

3 – Elimina qualsiasi finalità o teleonomia nel meccanismo dell’evoluzione biologica. Il caso che costruisce le novità e la necessità data dall’ambiente che le seleziona sono i soli responsabili, ciechi, dell’evoluzione (Monod, 1970).

Uniformismo, mutazione, selezione ed evoluzione a piccoli passi possono essere applicate a tutti i livelli di complessità: dalle cellule (le cellule procariotiche si sono via via complicate fino a costruire i compartimenti delle cellule eucariotiche) agli organismi (gli individui sono man mano mutati fino a non essere più incrociabili con i progenitori) alle popolazioni (le specie si sono affermate o sono state distrutte lottando per la sopravvivenza con l’ambiente e con altre specie).

Accettando questi presupposti:

1 – tutta la complessità dei livelli di organizzazione superiori è semplicemente la somma della complessità ai livelli inferiori (fino agli atomi da una parte, fino alle Galassie dall’altra…);

2 – sia i fenomeni diacronici sia i fenomeni sincronici dipendono esclusivamente dal caso;

3 – il paradigma di GAIA è incompatibile con il neodarwinismo, o per lo meno richiede che vengano apportate correzioni non indifferenti al modello neodarwiniano.

2) Il paradigma simbiontico
L’osservazione fondamentale che ha dato origine al paradigma simbiontico è il riconoscimento del fenomeno della simbiosi (cioè il vivere insieme per tempi lunghi integrando sia le strutture sia le capacità metaboliche) come estremamente diffuso (in alcuni grandi gruppi di organismi come una regola pressoché generale) e il suo frequente manifestarsi come forma di collaborazione (vedi ad esempio i dati e i paradigmi discussi dal gruppo di Bellagio in Margulis e Fester, 1992).

Per fare qualche esempio, nelle Piante (vedi Scannerini, 1994) la simbiosi mutualistica con i Funghi è un fenomeno pressoché generale riguardando dal più al meno il 95% delle specie. Non solo, cianobatteri ed Alghe si uniscono a più di ventimila specie di Funghi per costituire i Licheni, formando complessi di simbionti così strettamente integrati da venir considerati veri organismi.

Anche negli animali la simbiosi è più frequente di quanto non si creda (vedi Nardon, 1994). Simbiosi mutualistiche sono costanti in molte specie di insetti: il punteruolo del riso, ad esempio, ospita in un organo specializzato batteri intracellulari che controllano il rapporto tra i sessi e migliorano le condizioni metaboliche dell’organismo. Se poi ci spostiamo in ambienti estremi, come le fosse oceaniche con le loro sorgenti idrotermali o "sorgenti calde", vermi di mar profondo sopravvivono perché le loro cellule ospitano batteri che sfruttano le "sorgenti" di idrogeno solforato per fabbricare sostanze organiche che nutrono l’ospite privo di intestino.

Nelle strutture che abbiamo prima descritto un ciclo ordinato di interscambi prevale sulla competizione tra i singoli componenti l’associazione di organismi, ma alla fruizione dell’interazione partecipano solo quelli che forniscono il segnale adatto nel momento adatto. Questo comporta anche l’esclusione e l’eliminazione della struttura biologica "non riconoscibile" o "riconoscibile come potenzialmente estranea alla catena".

In altre parole competizione e patogenesi sono semplicemente l’altra possibile faccia dello specchio della simbiosi.

In un paradigma simbiontico la "novità" evolutiva nasce preferenzialmente:

1 – Dall’inserimento di un organismo in un iperciclo favorevole a seguito della congruità con i vincoli sia propri sia delle controparti;

2 – dall’acquisizione di nuove simbiosi, ossia di nuove strutture di provenienza estranea all’organismo ospite.

Basti ricordare a sostegno di questa ipotesi i licheni, ma anche gli organi luminosi dei pesci di mar profondo, che si sviluppano per la presenza di Batteri luminescenti ereditabili e sono la chiave per l’evoluzione di ordini interi di pesci (vedi Margulis e Fester, 1992).

Tirando le somme delle conseguenze della simbiosi sull’evoluzione cellulare (Scannerini, 1995, 1996) e sviluppando in termini ecologici il paradigma simbiontico:

1 – impone un vincolo contrastante con l’ipotesi neodarwiniana in quanto è compatibile solo con l’evoluzione per salti;

2 – introduce una correzione al paradigma panselezionistico a caso inserendo l’ordine dell’interazione come fattore di controllo sia sincronico sia diacronico;

3 – è perfettamente compatibile con il paradigma di GAIA.

 

Paradigmi sincronici e diacronici come supporto al biocentrismo

Come si vede entrambi i paradigmi si presentano come paradigmi globali per comprendere la vita sulla terra in tutte le sue manifestazioni. Non c’è ragione perché il paradigma non possa essere esteso all’uomo e al suo comportamento. Lo sviluppo dell’etologia umana è il logico risultato di questi paradigmi e può comportare valutazioni etiche del comportamento umano (vedi ad es. Lorenz, 1973).

Ma il biocentrismo, ossia la riduzione dell’uomo e di tutte le sue manifestazioni al paradigma biologico, non è una novità e nel nostro secolo si è manifestato, come vedremo, sotto le forme più svariate.

In tutti i paradigmi rigorosamente biocentrici nel senso di Cebanov (vedi Kuul e Tiivel, 1985) il modello di riferimento antropologico, in senso filosofico, dipende dalla scelta dell paradigma biologico prescelto, considerato l’unico valido.

Gli esempi di un’interpretazione biocentrica dell’uomo mediata da un sistema generale di riferimento uniformista (non esistono discontinuità tra animale e uomo) riduzionista (le differenze dei vari sistemi sono il risultato di piccole variazioni sicché sono quasi impercettibili le differenze tra sistemi biologici strettamente imparentati) e selezionista (il meno adatto viene eliminato stante la sua inadeguatezza all’ambiente) sono estremamente vari, ma risalgono o al concetto darwiniano della vita guidata dal caso o al concetto lysenkista dell’assenza di vincoli interni delle strutture biologiche e dell’inconsistenza dell’essere umano in quanto tale (una carta bianca su cui scrive l’ambiente).

Semplificando, le estrapolazioni biocentriche più frequenti e durevoli risalgono al darwinismo. Agli inizi del secolo prevale lo schema della sopravvivenza del più adatto e dà origine al darwinismo sociale espansionista e razzista dell’impero britannico. Parallelamente, e anche oggi, serve da supporto al liberismo economico trasferendo al mercato e alla libera concorrenza il compito della selezione dei produttori più adatti e la regolazione dell’economia e della società. Paradossalmente il nazionalsocialismo tedesco, un modello biocentrico basato sulla supremazia di una razza, non riconoscerà mai il darwinismo come compatibile con la sua ideologia, anzi lo rifiuterà in blocco.

Più coerentemente, crollato il lysenkismo come giustificazione dell’eliminazione di chi si oppone all’ambiente "sano e salvifico" della dittatura di classe, il comunismo sovietico e i suoi seguaci o simpatizzanti accetteranno negli anni 60 il neodarwinismo come principio selezionista applicabile alle classi sociali e come giustificazione della dittatura del proletariato in quanto coerente con il "senso dell’evoluzione". Oggi il neodarwinismo può indifferentemente conciliarsi con il comportamentismo (ambiente come "central directive agency" dell’adattazionismo) o, più coerentemente, con la sociobiologia (il gene egoista punto omega della biologia e della filosofia). In questi contesti i meccanismi conoscitivi sono visti come un processo riducibile alla selezione dei neuroni e delle connessioni cerebrali in seguito al cambiamento delle condizioni al contorno (vedi Fasolo in questo testo). Questo non toglie che con altrettanta coerenza il darwinismo neuronale possa essere considerato un’astuzia della natura per l’affermazione del genoma egoista che codifica i neuroni.

Che d’altra parte lo schema neodarwiniano possa essere visto come strumento ("il caso è l’altro nome di Dio") di evoluzione finalizzata a un punto omega (Dio) che è anche la causa dell’evoluzione è dimostrato dal modello evoluzionistico di Teilhard de Chardin (1955). A questo proposito è interessante notare che, benché sia stato avversato da critiche filosofiche e teologiche (vedi ad esempio Frenaud, Jugnet, Calmel, 1963) il teilhardismo è confluito nel pensiero cattolico ortodosso.

Anche il paradigma di GAIA ha ricadute che non si limitano alle scienze biologiche, ma influenzano le scienze umane e può porsi come principio biocentrico. Questo con divergenze potenzialmente ancora più ampie di quelle del modello darwiniano in quanto è pienamente compatibile con un paradigma olistico e con una visione organicistica, antimaterialistica e antiriduzionistica come quella della filosofia di Whitehead (1929).

Per una specie di effetto paradosso GAIA si può così proporre come un paradigma biocentrico che supera il biocentrismo in nome di molteplicità e collaborazione tra culture e del recupero della componente mitica.

Non è un segreto che i vari movimenti ambientalisti molto debbono sia alle analisi etologiche di Lorenz (vedi per una revisione Lorenz, 1973) sia al paradigma di GAIA (vedi per un approccio socio politico alla bibliografia dell’ecologismo AA.VV. 1995).

Ma anche in questo settore ristretto il paradigma di GAIA, come tutti i paradigmi biologici, può fungere da supporto indifferentemente a vie del tutto alternative. Così da GAIA si può dedurre sia un neoluddismo (ecologia profonda) opposto all’attuale modello socioeconomico dominante sia nelle economie liberistiche sia nei residui governi comunisti o postcomunisti (Nees, 1989) sia l’armonizzazione tra economia, nuove tecnologie e salvaguardia della diversità culturale e tecnologica nel contesto del villaggio globale – come l’esperimento degli ecovillaggi (Global ecovillage network: http//www.gaia.org) – sia l’utilizzazione delle biotecnologie come "governo dell’evoluzione" (Truett Anderson, 1987).

È da notare che il modello di armonizzazione può essere assimilato a posteriori a modelli non biocentrici quali la dottrina sociale della Chiesa cattolica e il paradigma teorico del corporativismo fascista italiano, fautore di un equilibrio dinamico modernità-tradizione e di un’economia di mercato corretta da interventi politici.

Che il paradigma di GAIA infine abbia intersezioni con posizioni filosofico religiose che vanno dal Buddismo alla New Age ad alcuni aspetti del Cattolicesimo (dal Francescanesimo all’evoluzionismo religioso di Teilhard de Chardin) e come tale venga sentito da molti di coloro che gli si avvicinano, conferma ancor più l’eterogeneità delle posizioni religiose, filosofiche e sociopolitiche cui un paradigma biologico estrapolato può fare da supporto.

 

Biocentrismo e aporie

In sintesi il biocentrismo diviene sempre più pressante, ma si concreta in un paradosso: lo stesso paradigma biologico viene usato come supporto a ideologie e prassi contrastanti.

Le influenze del d arwinismo su ideologie divergenti cui abbiamo prima accennato (o il suo uso a supporto di ideologie divergenti?) sono da questo punto di vista illuminanti. Ma questo vale anche per il paradigma, fondamentalmente olistico lamarckiano, di GAIA con tutti i suoi riflessi non solo sulla filosofia, ma anche sulle interpretazioni sociopolitiche o religiose. D’altronde che il biocentrismo susciti sospetto anche in ambienti alieni dalle religione tradizionali, ma rappresentativi della cultura umanistica, è un dato di fatto.

In uno dei suoi ultimi scritti, più precisamente in un’intervista, Ernest Junger, rinuncia a rispondere a domande sull’avvenire dell’uomo e delle sue società affermando che questo diventerà sempre più "un affare degli zoologi". È chiaro che per l’autore di "Sulle scogliere di marmo" la risposta non è un complimento, stante la sua visione dell’uomo come essere che deve accettare e superare in quanto prove iniziatiche le esperienze che gli si presentano.

Senza dubbio però le parole di Junger fotografano la situazione odierna: un momento in cui etologia e biologia umana si presentano come riferimento globale per la comprensione dell’uomo. Il biocentrismo diviene così sempre più cogente in quanto si sta sviluppando una bioetica, soprattutto come risposta alle biotecnologie e ai problemi ecologici, che sembra proporsi come rigorosamente biocentrica.

In termini meramente egoistici in quanto uomini dobbiamo domandarci se questo possa essere una scelta vincente e l’unico fondamento per l’etica. In termini di ragion pratica non si direbbe che una scelta biocentrica sia a tutela dell’uomo.

Non bisogna infatti dimenticare che nelle teorie neodarwiniane prevale la legge del tutto contro tutti e non esiste una giustificazione per imporre regole diverse da quella del più adatto, o più forte che sia. D’altra parte nelle teorie simbiontiche e nel paradigma di GAIA la biosfera è intesa come un equilibrio tra organismi di pari dignità e significato per la sussistenza del superorganismo terrestre. Ma se non esistono differenze tra l’uomo e gli altri organismi viventi, per l’equivalenza di tutti i componenti nella biosfera come sistema cibernetico integrato, non si può dedurre che la vita di un uomo valga più di quella di un batterio.

Per di più l’interazione simbiontica autoregolata non è il mutualismo "verde di foglie", ma è la somma di mutualismo e competizione "rossa di sangue": l’azione che distrugge chi non è "illuminato" (ossia il profano che non si trova nella posizione giusta al momento giusto del rituale) salva l’illuminato. E non ha molto senso stare a sofisticare su a quale specie appartengano l’illuminato e il profano.

Così il messaggio forte del biocentrismo "neodarwiniano" è la centralità del caso e quindi la perdita di qualsiasi riferimento a leggi e regolarità della condizione umana. Al contrario, il messaggio forte del paradigma di GAIA è il recupero della condizione umana come momento di un sistema ordinato cui si accompagna però la perdità di qualsiasi differenza qualitativa tra l’uomo e gli altri viventi della biosfera.

Se tutto questo è vero, o per meglio dire plausibile, l’approccio biocentrico all’uomo sia per la conoscenza di sé sia per la difesa della sua variabilità anche culturale (base di qualsiasi equilibrio ecologico ed etologico nella scala dei viventi e nella biosfera) sia per costruire un’etica globale merita un’estrema attenzione, ma porta ad aporie insolubili.

Ognuno dei due modelli attuali di interpretazione biocentrica della biosfera e dell’uomo si presta, con eguale coerenza, a sviluppi etici, filosofici e socioeconomici opposti.

Sembra quindi che, almeno allo stato dell’arte, le aporie del biocentrismo possano risolversi solo uscendo dal sistema di riferimento biocentrico.

Sicché in termini semplicistici, ma chiari, per trovare una risposta ai problemi filosofici ed etici ci si trova a scegliere tra l’amor fati nietzschiano e la zattera del Fedone platonico. Nell’uno e nell’altro caso viene recuperata una specificità umana che è fatta anche di miti e di momenti estetici, filosofici e religiosi.

Questo viene percepito anche in termini rigorosamente scientifici: aver scelto la ritualizzazione come punto focale del comportamento non solo animale, ma anche umano in quanto "l’uomo non può esistere senza il supporto che gli fornisce la sua appartenenza a una cultura e la sua partecipazione ai beni di essa" (Lorenz, 1973) non si presta ad equivoci.

Ma questa è un’altra storia che non è da raccontarsi qui. Tocca al filosofo e al teologo tentare di raccontarla, anche se sarebbe ingiustificato che per raccontarla rinunciassero al contributo del biologo.

 

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