LE BASI BIOLOGICHE ED EVOLUZIONISTICHE DELL'ETICA

Brunetto Chiarelli
Istituto di Antropologia e Museo di Antropologia e Etnologia
Via del Proconsolo 12, 50122 Firenze
e-mail antropos@cesitl.unife.it

 

Premessa

Etica religiosa, Etica Medica, Etica personalistica, Etica politica, Etica ambientale, Etica degli affari, Bioetica: una inflazione di aggettivazioni iniziate da quando Felix Adler (1851-1933), alla fine del secolo scorso, contestando al Cristianesimo e all’Ebraismo il controllo dei dogmi morali, fonda a New York nel 1892 la Società per la Cultura Etica.

Molto oggi si discute di morale e di etica con una sovrapposizione terminologica che spesso ingenera confusioni.

Nello sviluppo della cultura occidentale, le norme etiche si sono fin’ora richiamate alla distinzione fra etica teologica ed etica umanistica. L’etica teologica si rifà al pensiero di Aristotele per il quale ogni cosa nel mondo ha un fine ultimo che è Dio, inteso come attività pura, pensiero che pensa se stesso. Di conseguenza il fine dell’uomo è una vita contemplativa che consenta una qualche forma di partecipazione alla vita divina. Sulle orme di Aristotele, gli stoici assunsero come fondamento della morale il vivere secondo natura, giacché la natura è, per gli stoici, l’ordine razionale e perfetto del mondo, ordine che è Dio stesso.

L’etica umanistica invece fonda la morale sulle esigenze proprie dell’uomo, la prima delle quali è la sopravvivenza. L’etica umanistica attribuisce perciò alla morale la funzione di garantire la sopravvivenza dell’uomo come individuo o di gruppi di individui che collaborano fra loro in pacifica convivenza.

Questa dualità nelle premesse delle concezioni etiche (teologiche e umanistiche), che pervadono la cultura occidentale possono essere oggi superate ed integrate da una "bioetica generale" razionalmente e naturalisticamente basata, come gli sviluppi delle conoscenze scientifiche richiedono, e che proponiamo di chiamare "Bioetica globale".

 

Le basi storiche, conoscitive e culturali per una Bioetica globale.

L’11 luglio 1987 è stato sfondato il tetto dei cinque miliardi di abitanti sulla Terra. La popolazione del mondo cresce al ritmo di 79 milioni all’anno. Alla fine del secolo saremo 6 miliardi. All’inizio dell’800 (intorno al 1835) venne superata la soglia del Miliardo. I 6 miliardi di oggi sono stati raggiunti in poco più di un secolo e mezzo. L’impennata della crescita demografica che stiamo vivendo nella fase di transizione tra il 2° e il 3° millennio è paragonabile alla fase di transizione fra Paleolitico e Neolitico intorno a 10-8 mila anni fa che da forse non più di 10 milioni del Paleolitico passò ai 200 e oltre in epoca storica. L’inizio dell’agricoltura, dell’allevamento e della fermentazione e delle prime forme di conservazione degli alimenti furono le scoperte che permisero all’umanità di superare la crisi ecologica che aveva prodotto fame e sgomento nelle popolazioni cacciatrici del tardo Paleolitico.

Quella che l’umanità sta ora vivendo è una fase critica simile alla transizione fra Paleolitico e Neolitico, è un momento critico di interazione fra incremento demografico e carenze di risorse energetiche ed alimentari, che l’Uomo potrà controllare e superare se riuscirà a restaurare un intelligente equilibrio con se stesso e con il mondo della Natura, utilizzando le sue capacità intellettive. Il superamento di questa crisi è infatti demandato alla soluzione di altrettanti quesiti, anche etici, sulle applicazioni delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica che necessitano decisioni rapide, attuate con visione innovativa per le coscienze individuali e per le ideologie tradizionali.

Stiamo vivendo infatti una fase rivoluzionaria dovuta all’impatto innovativo della scienza, prima con la fisica atomica che propone la scissione dell’atomo, fondamento concettuale della materia, poi con la crisi del concetto di individuo a seguito dell’introduzione delle tecnologie dei trapianti d’organo, e infine con lo sviluppo della biologia molecolare e delle biotecnologie che conducono alla decodificazione della informazione genetica e agli interventi di "ingegneria genetica" che insidiano il concetto stesso di specie.

Lo sviluppo dell’"ingegneria biologica", con le sue potenzialità per la produzione di alimenti e di energia, servirà a sopperire alla crisi del carbone, del petrolio o dell’atomo come generatore di energia? Servirà la bioingegneria a produrre alimenti a poco costo e in quantità tali da soddisfare le necessità di una Umanità in continua crescita? Sarà l’Umanità capace di recepire l’impatto di queste nuove tecnologie in tempi così brevi come quelli che ci attendono? Gli ordinamenti sociali saranno in grado di sostenere l’impatto di questi rapidissimi cambiamenti? Quale costo avranno le nuove tecnologie sugli equilibri degli ecosistemi del Pianeta? Che tipo di Mondo lasciamo o intendiamo lasciare ai nostri figli? Chi gestisce o gestirà questo cambiamento? Quante lobbies o gruppi finanziari ristretti condizioneranno il futuro di queste scelte? Gli amministratori e gli uomini politici dei Governi del Pianeta saranno in grado di valutare questi problemi nei brevi tempi necessari?

L’autoconsapevolezza dei problemi

Questa generale sensibilizzazione ai problemi ambientali ed al rapporto critico fra Uomo e Natura negli anni ’60-’70 era il risultato di riflessioni critiche di studiosi di diversa estrazione, di religiosi e filosofi e aveva dato l’avvio a nuovi movimenti culturali, a un nuova sensibilità politica per i problemi ambientali che si sono sviluppati durante gli anni ’70-’80. Esse risultano già ben sintetizzate nella dichiarazione di Stoccolma sull’ambiente umano del 1972, ove fra l’altro si legge: "Si vede crescere intorno a noi l’evidenza di disastri operati dall’uomo in molte regioni del pianeta: livelli paurosi dell’inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e dei viventi; disturbi notevoli e preoccupanti dell’equilibrio ecologico della biosfera; distruzione ed esaurimento di risorse non rinnovabili; situazioni dannose per la salute fisica, mentale e sociale dell’uomo, degli ambienti umani, particolamente in quelli della vita quotidiana e del lavoro".

Nella dichiarazione solenne dei convenuti (protestanti, ortodossi, anglicani) al Consiglio delle Conferenze Episcopali europee a Basilea del 1974: "La nostra prosperità è fondata per buona parte sulla miseria delgi altri. Sporchiamo il mondo che abitiamo con il nostro egoismo ed interesse" .

Qualità della vita e qualità dell’ambiente naturale sono strettamente correlate. Questo concetto trova riscontro nelle conclusioni della conferenza intergovernativa sull’ambiente (UNEP) di Nairobi del 1982 (nel decennale della dichiarazione di Stoccolma) che testualmente dice: "Nell’ultimo decennio sono emerse nuove percezioni: lo sforzo per la gesione ambientale, le profonde e complesse interrelazioni fra ambiente, sviluppo, popolazioni e risorse. Ben evidente è diventata la tensione nell’ambiente, provocata, soprattutto nelle aree urbane, dall’aumento della popolazione. Un approccio globale e integrato in dimensione regionale che metta in evidenza questi rapporti è destinato a promuovere uno sviluppo socio-economico accordato con una promozione della qualità dell’ambiente".

Con la brillantezza che gli è propria, Carlo Rubbia ha detto: "quello che stiamo vivendo è un esperimento e questa volta la provetta è tutta la Terra. In più l’osservatore, che siamo noi, non è esterno, ma interno alla provetta stessa. E nessuno ha la minima idea di cosa succederà".

Ma l’estensione delle tecnologie coinvolge anche le capacità dell’uomo di modificare l’uomo, modificando il suo stesso genoma e quello delle specie di suo occasionale interesse, mediante le più recenti acquisizioni di ingegneria genetica.

Chiare le affermazioni a questo riguardo del Padre agostiniano Arrano Rodrigo che nel 1984 scrive: "Per la prima volta nella storia del pianeta una specie biologica inizia ad essere in grado di pianificare e dirigere il suo destino futuro potendo utilizzare i suoi propri discendenti come materiale da esperimento", e dell’illustre genetista Francisco Ayala che nel 1983 scrive "Prima della apparizione dell’umanità nessuna specie poteva scegliere il suo destino evolutivo; l’umanità possiede ora le tecniche per farlo e forse cominciamo ad avere nelle nostre mani tecniche idonee per dirigere i cambiamenti genetici". Brillanti come sempre quelle del fisico e premio Nobel Carlo Rubbia che nel 1984 scrive: "Adesso l’uomo pretende di andare a cambiare il codice della vita. Pensiamo al significato, alla potenza della nostra abilità a programmare, cambiare e riconoscere le qualità di una persona attraverso la disposizione del codice genetico. Non siamo ancora a questo punto perchè la natura si difende molto bene. Però l’uomo in genere è molto brillante in queste cose: un giorno sarà possibile modificare profondamente il codice genetico. Questa è una delle bottiglie con il genio dentro che l’uomo dovrebbe domandarsi se vale la pena di aprire".

Chiarissime poi le parole pronunciate nel 1987 da Francois Jacob nel centenario della fondazione dell’Institut Pasteur: "Nel sistema solare non c’è nulla di più stupefacente della formazione di un uomo o di una donna a partire da una cellula. È una storia straordinaria! La fantascienza diventa un balbettio dell’immaginazione. Una cellula, poi un gruppo di cellule, poi miliardi di cellule. Un universo dove altre cellule si individualizzano e così l’essere umano impara a parlare, leggere, scrivere. Sono come stregato da questa vicenda. Vorrei conoscerne i dettagli… L’ingegneria genetica per il momento non è stata applicata sull’uomo. Siamo tutti d’accordo per non farlo. I biologi sono stati i primi a diffidarne. Bisogna rispettare i valori genetici dell’uomo. Ne sappiamo troppo poco. Se si vuole sperare di capire l’AIDS, si dovrà ricorrere all’ingegneria genetica. Ogni nuova scoperta presenta una duplicità, il lato positivo e il lato negativo. Quando si passa dall’età della pietra all’età del ferro si scopre il coltello. Uno strumento, se si vuole sbucciare una mela. Un’arma, se si vuole piantarlo nella schiena di una persona. Non si sa dove può arrivare la scienza. Le previsioni sono soltanto a breve termine e, quindi, senza alcun interesse. L’ingegneria genetica è uno strumento fantastico, però bisogna saper distinguere, la bomba atomica è una cattiva applicazione della scienza e non la scienza stessa" .

È quindi indispensabile rivedere oggi tutti quegli atteggiamenti ispirati all’idea di dominio-sfruttamento dell’Uomo sulla Natura, ed all’impiego generalizzato delle biotecnologie. L’uomo deve ora proporsi come amministratore responsabile dell’ambiente, delle sue risorse e delle scoperte da lui stesso fatte.

Riprendendo l’aforisma galileiano "La luce della Scienza cerco e il Beneficio" la cultura scientifica deve ora rivedere le sue posizioni privilegiando la preparazione di scienziati prima che di tecnologi.

Stiamo sbagliando i conti con la Natura. Ma si sbagliano i conti con la Natura perchè l’ordine politico attuale non è in grado di produrre cittadini consapevoli e governanti eticamente orientati. È necessario pertanto rifondare un’Etica della responsabilità e della solidarietà come presupposto della salvezza stessa del genere umano come sostengono Hans Jonas (1990) e Van Potter (1971).

L’ambiente naturale deve essere inteso come un sistema vivo di cui l’uomo è parte. La nuova cultura dell’ambiente comporta pertanto non solo la conoscenza degli equilibri naturali, ma il loro rispetto e il loro recupero. Una coscienza che coinvolge un’etica di partecipazione e un atteggiamento di servizio in sostituzione del concetto di dominio-sfruttamento proprio della cultura tradizionale (giudaico-cristiana e islamica).

In questa prospettiva è quindi necessario rivedere tutti quegli atteggiamenti ispirati all’idea di dominio-sfruttamento dell’Uomo sulla Natura e dell’impiego illimitato di qualunque tecnologia biologica e insistere invece sul comportamento dell’uomo come amministratore responsabile dell’ambiente, delle risorse ambientali, delle scoperte stesse da lui fatte. I problemi etici coinvolgono oggi ogni scienza, ma in particolare sono sentiti dai cultori delle scienze biologiche e naturali. L’impatto delle scienze biologiche si estende oggi in ogni campo, i suoi effetti coinvolgono i sentimenti più profondi e precostituiscono la sopravvivenza futura della nostra e di altre specie viventi.

 

Storia dei concetti etici

Nel ricostruire l’evolversi delle concezioni etiche si possono seguire due diversi metodi: quello storico e quello naturalistico. Quello fin’ora seguito dalla maggior parte degli studiosi è quello storico. Nel seguire lo sviluppo storico dei concetti di Bene e di Male, di Giusto e di Ingiusto e dei principi generali che regolano l’applicazione di questi concetti alle cose che ci circondano, si può iniziare dall’antico mondo ellenico-aristotelico. Questa sistematizzazione era partita dalle cose ed aveva cercato di adeguarsi all’uomo; seguendo in qualche modo un metodo diretto (sperimentale) aveva prodotto un concetto di Bene a misura d’Uomo.

L’Etica era infatti la terza e suprema parte della filosofia, dopo la Logica e la Fisica. In questa concezione, "cose" erano anche gli altri uomini e il solo bene da perseguire, in sostanza, era la propria felicità, non preoccupandosi del male che poteva derivare ad altri, ma solo di quello che poteva venire a sé: una concezione, quindi, edonistica.

Questo processo è anche quello verificatosi nello sviluppo delle concezioni che regolano i rapporti fra uomini e fra gli uomini e le cose nella storia dell’umanità.

Nelle tradizioni storiche le prime forme di Etica concernono le relazioni fra gli individui, le limitazioni della libertà individuale rispetto ai propri consimili (individuati come singole persone di un definito gruppo sociale: padre e madre, figlio e figlia, marito e moglie, servitori, ecc.) e i diritti e le pertinenze che a ciascuno di loro competono. La legge mosaica dal quarto comma in poi è una delle più complete sintesi di queste norme.

La traslazione delle basi dell’Etica da sperimentali a metafisiche, che ha pervaso la cultura occidentale successiva, ebbe inizio con Platone per il quale la via della conoscenza è una sorta di conversione al bene e con le concezioni mistico-ascetiche della scuola neo-platonica, tutta tesa a staccare gli animi dal mondo presente per orientarli verso la speranza di un mondo venturo trascendente. È in questo periodo che l’Etica cominciò a misticizzarsi.

Queste tendenze mistiche furono riprese e approfondite dal mondo cristiano. Nel Medio Evo tutte le concezioni etiche del cristianesimo rimasero invischiate nell’insolubile contrasto dell’Uomo e del Mondo, della Libertà e della Necessità e, nel tentativo di superare questo contrasto, i moralisti cristiani dell’epoca finirono con lo spezzare irrimediabilmente il mondo in due parti: il Bene e il Male, ponendo il Bene (Felicità, Paradiso, ecc.) in una lontananza ideale. Concezioni queste che trovarono il loro divulgatore poetico in Dante Alighieri con la Divina Commedia. La riforma protestante, pur con la sua approfondita disamina sul libero arbitrio, non riuscì a superare questo contrasto e lo ridusse solo in parte.

L’etica successivamente sviluppatasi nel mondo occidentale ha coinvolto le reazioni fra gli individui singoli e la società intesa come gruppo indefinito di individui noti o ignoti o anche ipotetici. Di qui lo sviluppo del diritto e delle sue leggi, lo sviluppo stesso del concetto di democrazia, proprio della cultura occidentale che non è però caratterisitica di tutte le culture umane.

Da questa storia delle concezioni dell’etica è facile seguire come dalle visioni filosofiche del primo ottocento si giunge alle dottrine utilitaristiche e positivisitiche che pervasero la filosofia e le dottrine politiche e sociali dell’Europa centro settentrionale della seconda metà del secolo scorso e della prima metà di questo. È facile anche individuare come dalla teoria hegeliana della positività della storia, in cui "il razionale" si indentifica con "il reale", si passi ad una concezione economica dell’Etica come in Marx, per il quale la storia è moralmente indifferente e la volontà non ha nessun valore ideale.

Ma al di là di questa barriera artificiosamente metafisica, il problema sussiste in tutta la sua interezza. È necessario dare una sistemazione positiva logica e generalizzabile al Mondo della Natura del valore dei concetti di Bene-Male, Giusto-Ingiusto, Corretto-Errato, Ubbidienza-Disubbidienza, Obbligo-Libertà e dei principi generali che giustificano l’applicazione di questi concetti ad ogni cosa.

L’umanità attuale, più di quella antica, è costantemente pervasa da questi dilemmi, frustrata dalla responsabilità di una continua scelta, dalla ricerca di norme generali a cui ricorrere.

Al di là di una visione edonistica o utilitaristica della felicità individuale come solo bene da perseguire, al di là di una visione mistica del bene come perfezione da raggiungere, potremmo quindi cercare di fare un’analisi naturalistica e razionale del concetto di etica.

L’impostazione su basi scientifiche del discorso etico porta dapprima a posizioni agnostiche, poi esclude ogni forma di conoscenze che non siano quelle scientifiche: la scienza viene considerata unica fonte di conoscenza e unico criterio di valutazione del reale. In questa impostazione le concezioni teologiche dell’Etica non hanno più significato.

Si giunge così alla posizione bioevoluzionistica delle scuole di Lorenz e Wilson.

Secondo Lorenz il comportamento animale e quello umano sono "funzioni di un sistema che deve la sua esistenza e la sua forma specifica a un processo storico risoltosi nella filogenesi" (1974). Secondo Wilson (1980), i valori etici come le caratterisitiche fisiche si sarebbero evoluti e fissati attraverso processi di selezione naturale: un’evoluzione genetica delle predisposizioni morali per opera della selezione naturale. "Quindi nel cervello umano esistono censori e motivatori che profondamente e incoscientemente influenzano le nostre premesse etiche; da queste radici si è evoluta la moralità come istinto".

Nella cultura occidentale non vi è ancora tuttavia una codificazione dell’Etica che regoli l’interazione fra l’Uomo e la Terra e gli Animali e le Piante che crescono su di essa. Le relazioni fra l’Uomo e le cose della Natura, come afferma A.S. Leopold (1933), sono ancora strettamente economiche. La Terra è considerata solo sotto l’aspetto di proprietà, e tutte le norme che regolano i rapporti fra l’Uomo e la Terra prevedono solo privilegi e nessun obbligo per lui.

L’estensione dell’Etica a questo terzo elemento, all’ambiente utilizzato dall’uomo, è una progressione evolutiva e una necessità ecologica. È la terza tappa di una sequenza nella quale le prime due sono già superate.

 

La nascita della Bioetica e le sue basi naturalistiche

L’uomo, ovvero la scienza che l’evoluzione umana ha prodotto, ripensa ora alla Natura come ambiante vivibile (Ecologia) e come materia di cui lui stesso è formato così come lo sono tutti gli altri organismi viventi (Biologia comparata) (Chiarelli 1984). "Una riflessione della mente sulla materia, ma di cui la mente è materia stessa" (Chiarelli 1995).

La Bioetica nasce in questo contesto. Il coniatore stesso del termine, V.R. Potter (1971), la definisce come scienza di equilibrio fra Uomo e Natura, un ponte per il futuro dell’Umanità (Bioethics: Bridge to the future), anche se il suo vero ispiratore è Aldo Leopold con il suo libro "A sand county almanac with other essays on conservation", pubblicato nel 1949.

La Bioetica quindi per definizione, per contesto storico e per disciplina deve focalizzare i problemi connessi con la migliore sopravvivenza dell’Uomo, sia come individuo che come specie, nel momento presente come per le future generazioni. Da qui anche l’interesse per le relazioni fra l’uomo e l’Ambiente naturale. Una scienza quindi, che accomuna in modo interdisciplinare informazioni provenienti, oltre che dalle discipline biologiche tradizionali, anche dall’Ecologia e dalla Sociologia, inquadrandole però in un’impostazione filosofica che ha come centro focale l’Homo sapiens. Una disciplina quindi antropologica e naturalistica per eccellenza.

Diverso e parziale è invece l’approccio della Bioetica come Etica medica che deve svilupparsi come un corretto approfondimento e attualizzazione della tradizionale Deontologia medica; disciplina questa che deve eventualmente essere considerata come quella parte della Bioetica generale o globale che si occupa specificamente della interazione fra malato e medico, fra malato e società.

La Bioetica, come scienza, sottende pertanto una teoria generale per la valutazione dei criteri di bene e di male interindividuale fra cospecifici e deve pertanto prima di tutto basarsi su principi naturalistici.

Con questi presupposti, una definizione di Bioetica, deve prima di tutto proporre "la conservazione e la propagazione del DNA tipico della specie e il mantenimento della sua variabilità intraspecifica". Questo della conservazione e della propagazione del DNA tipico della specie e della variabilità intraspecifica è invero il principio base della Bioetica.

Da questa definizione ne deriva che tutte le entità viventi, siano esse specie, individui o forme preliminari di individui (spore, gameti, embrioni) o prodotti di clonazione (talee) sono degne di rispetto e di considerazione etica.

Queste considerazioni etiche tuttavia, sono diverse e hanno un diverso peso a seconda dei diversi gruppi biologici, in quanto differenti sono i cicli ontogenetici che li caratterizzano. Una gerarchizzazione di valori che è insita nella stessa storia evolutiva della vita sulla terra.

Una entità biologica caratterizzata da un assetto aploide di geni, come quella di un battere, di un gamete, di una spora o di un aplofito, rappresenterà pertanto il primo livello gerarchico di interesse bioetico perchè possiede un solo filamento di DNA, che è pertanto soggetto a casuali alterazioni (mutazioni) che inevitabilmente conducono alla sua estinzione.

La fusione di due assetti aploidi presuppone la riproduzione sessuale e quindi la meiosi che funziona come filtro selettivo di mutazioni casuali, la maggior parte delle quali avrebbe portato all’estinzione dell’entità aploide che la subisce.

L’entità diploide rappresenta quindi il secondo livello gerarchico verso la complessità delle forme viventi realizzatosi durante la storia evolutiva della vita su questo Pianeta e la maggiore complessità di questo stadio evolutivo che deve essere considerata dal punto di vista bioetico. Diversa è tuttavia la considerazione etica se l’entità biologica diploide:

a) non ha una prospettiva autonoma di sopravvivenza come quella di un embrione;

b) se questa ha già completato il suo ciclo riproduttivo;

c) se è costituita da individui la cui esistenza è assolutamente indipendente dalla trasmissione del DNA specifico nei discendenti come avviene nelle classi subalterne degli insetti sociali;

d) se è priva della variabilità specifica e viene riprodotta asessualmente (talee).

Nel primo caso (a), il contributo di queste entità biologiche al mantenimento del DNA specifico e della sua variabilità nelle generazioni successive ha scarsa possibilità, perchè la loro esistenza e il raggiungimento del livello di individui è condizionalto da molte ed eterogenee vicende ambientali che eliminano una larga percentuale di loro, come avviene per i semi delle piante e le uova fecondate degli animali marini, quelle dei rettili e degli uccelli che vengono predate da altri animali, o gli zigoti dei mammiferi che non arrivano ad impiantarsi sulla parete uterina. Questo stato di incertezza prospettica costituisce una limitazione nella valutazione bioetica di queste entità.

Nel caso delle entità che hanno completato il loro ciclo riproduttivo, o che per cause diverse sono inibite alla riproduzione (b), esse sono biologicamente inutili e quindi la loro esistenza non ha significato dal punto di vista strettamente biologico.

Nel caso poi degli individui delle classi subalterne degli insetti sociali (c), il loro significato esistenziale è limitato alla sola loro stretta esistenza e nella gerarchia della vita essi rappresentano condizioni non complete.

Fra i vegetali e alcuni animali (d), esistono poi entità biologiche diploidi come le talee e i cloni alle quali non è possibile attribuire il concetto di individuo, in quanto pur essendo portatori del DNA specifico, non partecipano della variabilità intraspecifica; sono tutte copie identiche del DNA parentale che si perpetua identico all’individuo parentale. Queste mancano di individualità e non permettono di perpetuare la variabilità genetica della specie.

Di maggiore interesse bioetico sono quelle specie (piante e animali superiori), in cui è presente il concetto di "individuo", definito come entità biologica caratterizzata da "unicità, indivisibilità e irripetibilità" per l’intero ciclo ontogenetico (cioè individui risultanti dalla fusione di gameti prodotti attraverso il processo meiotico della generazione parentale). In essi la linea germinale è potenzialmente attiva in tutti gli individui della popolazione. Nel processo di complicazione dell’evoluzione della vita sulla Terra questo stadio rappresenta il terzo livello gerarchico. In questi organismi il mantenimento del DNA tipico della specie e la sua variabilità intraspecifica è assicurato da precise regole di socializzazione. I comportamenti e gli stimoli di socializzazione che servono a perpetuare il DNA tipico della specie e la sua variabilità intraspecifica sono:

A) le cure parentali;

B) il comportamento riproduttivo;

C) la cooperazione per l’acquisizione di cibo;

D) la cooperazione per la difesa del gruppo.

Di questi stimoli A e B sono strettamente dipendenti dalla biologia della specie, C e D sono invece in relazione con le condizioni ambientali. È necessario pertanto introdurre per entrambi questi due ultimi fattori una costante k legata alle condizioni ambientali in cui la specie o la popolazione (o l’individuo) si trova a vivere.

Sono quindi questi quattro fattori (A, B, C e D), ciascuno indipendente dagli altri, le entità sulle quali si sviluppano le norme bioetiche del terzo livello gerarchico nel sistema naturale.

Questi quattro stimoli possono anche essere quantificati in termini di consumo energetico (Calorie), e in quantità di tempo investito (Tempo) nel compimento dell’imperativo bioetico del processo riproduttivo o della sopravvivenza individuale o di quella di gruppo.

Questa trasformazione quantitativa permette di organizzare questi fattori in un’equazione il cui risultato, rapportato al consumo energetico individuale darà le dimensioni (D) minime e massime della popolazione di una data specie che può sopravvivere in una certa area:

(A+B) + k(C+D) = D

Il D di questa formula si identifica e si sovrappone infatti dal punto di vista genetico con il concetto di "Deme" che in una popolazione locale panmittica definisce il numero minimo di individui necessario a garantire la variabilità genetica indispensabile per la sua sussistenza per un numero illimitato di generazioni.

In questa definizione di deme è sottolineata l’indispensabile presenza della variabilità genetica. Perché la frequenza dei geni in una popolazione si mantenga costante, come noto, sono necessarie quattro condizioni: 1) assenza di selezione, 2) panmixia, 3) assenza di mutazioni, 4) assenza di migrazioni differenziali. Il numero minimo di individui perché una popolazione sopravviva per più generazioni deve pertanto tenere in considerazione queste quattro condizioni.

Da questa formula generale, applicabile a tutti gli animali superiori, è facile poi derivarne una più concretamente adattabile all’uomo e al suo sviluppo culturale, che profonde trasformazioni apporta sull’ambiente e quindi sui fattori C e D e che può essere generalmente indicata con una funzione esponenziale delle capacità intellettive umane (ei) che potrebbe essere individuato in un evento quantizzabile delle attività umane come il concetto spazio-tempo nella storia della cultura per cui essa potrebbe essere scritta:

[(A+B) + k(C+D)] ei = D H

Questo del controllo socio-intellettivo dell’ambiente nel sistema naturale può rappresentare il salto qualitativo che porta al quarto livello gerarchico delle norme etiche nella storia della vita sulla terra, quelle legate all’uomo, alla sua cultura e alla sua interazione con l’ambiente in cui vive

Per queste ragioni il numero minimo o massimo che costituisce il deme può essere diverso a seconda dei diversi ambienti in cui le popolazioni umane vivono e i diversi contesti storici in cui le popolazioni umane si sono trovate ad operare.

Per l’uomo l’interazione con l’ambiente ha prodotto e produce norme che caratterizzano il comportamento storicizzato (la morale, i costumi, mores) e che ne caratterizzano e condizionano il comportamento, facilitandone la sopravvivenza.

La morale pertanto è quella parte della Bioetica che si occupa delle norme che a seconda dei diversi ambienti storici e culturali e delle diverse usanze accumulate in una popolazione umana assicura la migliore sopravvivenza degli individui della nostra specie in relazione ai quattro stimoli prima menzionati, e cioè: il rapporto fra genitori e figli (A), il rapporto fra coniugi o comunque fra individui di sesso opposto in età fertile (B), la cooperazione per la ricerca e per assicurare il cibo (C), la cooperazione per assicurare la difesa degli individui e delle popolazioni (D), che ovviamente dipendono dall’ambiente in cui l’individuo o la popolazione si trova a vivere.

Questa interazione fra le quattro pulsioni etiche della socializzazione e le norme comportamentali trova una interessante relazione con la interpretazione trina del cervello umano proposta da Mc Lean (Chiarelli, 1995). I comportamenti e gli stimoli di socializzazione indicati dalle lettere A e B sono presieduti o recepiti dal cervello rettiliano, mentre quelli indicati dalle lettere C e D sono prevalentemente centrati nel cervello paleomammaliano (Sistema Limbico). Entrambe queste stratificazioni cerebrali subiscono l’azione inibitoria, correttiva e stimolativa della corteccia neomammaliana. Ad esempio possono essere controllate le conoscenze acquisite per azione dell’imprinting, quelle imposte dalle abitudini indotte, i comportamenti routinari, le tendenze a seguire in modo acritico i comportamenti e conoscenze che hanno la loro sede primaria nel cervello rettiliano. La corteccia neomammaliana, in particolare quella umana, ha come caratteristica distintiva la capacità del ragionamento analogico, critico e causale.

Dalla Bioetica alla Bioetica globale

Le scelte adattative della struttura sociale umana e le scelte morali (anche biotecnologiche e biomediche) devono essere conseguenti a questa impostazione teorica e all’interazione fra le popolazioni umane e l’ambiente in cui esse vivono o sono vissute (tradizioni). Esse devono inoltre essere indipendenti dalle influenze di leaders religiosi o politici le cui ideologie di potere non rispettano questi equilibri: equilibri che devono essere mantenuti e anche ricercati per la futura sopravvivenza stessa della nostra specie.

La Natura infatti può non essere interessata alla sopravvivenza dell’Uomo. L’Uomo attuale è un prodotto dell’evoluzione come lo sono le altre specie animali. Ma come è avvenuto e avviene costantemente per queste, l’Uomo, coinvolto in un’orgia riproduttiva e di sfruttamento disordinato delle risorse naturali disponibili, può autodistruggersi e con sé portare alla distruzione altre specie vegetali e animali.

I tempi sono pressanti. Le previsioni demografiche indicano in 10 miliardi la popolazioni umana che ineluttabilmente popolerà il globo del 2025. Se a tutta questa popolazione, come sarebbe giusto, saranno estesi i benefici e le condizioni di vita dell’attuale umanità occidentale, sarà la catastrofe e poco verosimilmente l’umanità anche come specie potrà sopravvivere oltre il quarto di secolo del prossimo millennio. In un momento in cui il mondo è assillato da crisi economiche, di identità culturale e di valori morali, diventa sempre più urgente acquisire coscienza di questa nuova fase della vita della nostra specie.

La Bioetica è quindi un tentativo di patto fra l’Uomo e la Natura per rendere ancora possibile l’esistenza della nostra specie su questo Pianeta. Una sfida sofisticata ma utile, che deve essere disputata e vinta nelle poche settimane che ci separano dall’inizio del III millennio. La storia stessa della nascita e dell’abuso del termine "bioetica", mette in evidenza la pressante urgenza di interventi correttivi a questo processo alterativo sul globo da parte dell’Umanità attuale.

Questa la ragione perchè con Van Potter, il coniatore stesso del termine Bioetica (1971, 1988) abbiamo fondato la rivista "Global Bioethics" e redatto il mio libro "Bioetica Globale", che vogliono produrre una chiara distinzione naturalistica ed antropologica della Bioetica dalla Morale e dalla Deontologia medica.

Questa distinzione fra i termini di etica e morale pretende infatti di affrontare in modo razionale e senza il fardello delle tradizioni storiche e umanistiche il problema della scelta fra bene e male, fra cose che si possono e che non si debbono fare. Il problema dell’ "Antropocentrismo etico" si lega a questo nuovo modo di impostare la realtà del quotidiano, alle scelte dell’oggi per il domani al fine di assicurare al pool genetico della nostra specie la sopravvivenza futura.

 

Bibliografia

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Leopold A.S. 1933. The Conservation Ethic. Journal of Forestry 31:634-43.

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Potter V.R. 1971. Bioethics: Bridge to the Future. Engewood Cliffs, Prentice Hall.

Potter V.R. 1988. Global Bioethics (Building on the Leopold Legacy). Michigan State University Press.

 

Definizione di Bioetica: "Conservazione del DNA tipico della specie e mantenimento della sua variabilità intraspecifica".

Ordine gerarchico nella storia della vita e suo significato etico.

1° livello Aploide (n): microrganismi, gameti, spore, aplofiti
2° livello Diploide (2n): riproduzione sessuale, meiosi. In questo secondo livello gerarchico considerazioni diverse di carattere etico devono essere riservate a entità biologiche come:
a) Talee: in quanto copie identiche dell’individuo originario e prodotte in modo asessuale; non hanno variabilità.
b) Classi sussidiarie degli insetti sociali: non trasmettono il DNA delle specie e non hanno potenzialità riproduttive.
c) Primi stadi di vita come embrioni e semi: hanno basse probabilità di sopravvivenza per raggiungere lo stadio riproduttivo.
d) Stadi terminali della vita dell’individuo in cui è stata persa la potenzialità riproduttiva.
3° livello Entità biologiche in cui è presente il concetto di individuo come unico, irripetibile e indivisibile per l’intero ciclo biologico.
4° livello Vertebrati in cui il mantenimento della variabilità del DNA tipico della specie e la sua variabilità intraspecifica (D) è assicurata da 4 stimoli di socializzazione (interazione materno-filiale A, stimolo sessuale B, cooperazione per la ricerca del cibo C e per la difesa D e dall’interazione con l’ambiente (k)

(A+B)+k(C+D)=D

5° livello Homo sapiens in cui il mantenimento del DNA tipico della specie e la sua variabilità specifica è assicurata anche dalla memoria storica (tradizioni, consuetudini). In questo caso l’Etica può anche diventare Codice Morale così come i quattro tipi di socializzazione possono essere influenzati dalla storia.

 

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